SALUTO ALLA FAMIGLIA

Partire per emigrare non era una scelta facile.

Nella decisione, poi, la famiglia assumeva un ruolo determinante.

Si poteva, infatti, scegliere di andar via da soli o con alcuni dei parenti più stretti (i genitori o, più spesso, la moglie e i figli), ma si poteva anche emigrare perché richiamati da un familiare (generalmente il padre o il marito) che già risiedeva da tempo all’estero e questo spesso avveniva per le donne. 

Come vivevano le famiglie queste partenze?

Erano rotture traumatiche: in un’epoca segnata dalla difficoltà delle comunicazioni e da una analfabetismo che per la Basilicata riguardava il 75,4% della popolazione, la partenza significava un allontanamento e una mancanza di notizie che potevano durare anni. 

L’emigrazione dalla Basilicata, terra di contadini, almeno agli inizi, una emigrazione era maschile e temporanea. I lucani che partivano, alla fine dell’800, erano convinti di rientrare. 

Costretti a partire dalla durezza di quelle condizioni che la visita di Zanardelli aveva reso di dominio pubblico, gli emigranti partivano sotto il peso dell’oppressione fiscale, dei salari bassi, delle condizioni inumane di vita e, per partire, si indebitavano e prendevano prestiti a usura.

In molti non ritornano: sono i più sfortunati, coloro che restano nei miserabili conventillos diBuenos Aires, o quelli che muoiono di malattia e sfinimento nelle fazendas brasiliane, o negli incidenti nelle miniere della Pennsylvania. Di molti non si avranno più notizie e le mogli, rimaste a casa con i bambini, diventeranno le vedove bianche, magari per sapere, casualmente dopo anni che i loro mariti si sono risposati e fatte nuove famiglie. 

Chi ritorna, specie agli inizi del ‘900, malgrado il legame alla terra e al paese, spesso si rifiuta di accettare quei rapporti di subordinazione che bloccavano la società lucana. E, per lo più, decide di ripartire con la famiglia per sempre. 

Sarà la fase più drammatica del fenomeno, tra il 1904 e il 1914, la “grande emigrazione”.

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