IL VIAGGIO PER MARE

Nelle sue destinazioni, l’emigrazione lucana segue quella italiana.

Nella prima fase, successiva all’Unità, la destinazione più seguita dai lucani è l’Argentina: alcuni si fermano a Buenos Aires, ma molti proseguono per la pampa gringa, dove meglio possono esprimere le loro doti di coltivatori pazienti, instancabili e parsimoniosi.

Negli anni successivi, la destinazione principale si sposta e passa dall’Argentina al Brasile, nel quale, tra il 1887 e il 1902, si trasferiscono 900.000 italiani.

Il motivo di questo cambiamento è l’abolizione della schiavitù – uno degli ultimi atti della monarchia - che lascia i proprietari delle piantagioni senza quella manodopera gratuita su cui era fondata la produzione del caffè.

Come sostituire quella manodopera, si chiedono i fazenderos? La risposta sarà semplice: pagare i viaggi di andata per il Brasile a chi vorrebbe emigrare ma è talmente povero da non potersi permettere il costo del passaggio. Non solo: il passaggio è gratuito anche per i membri della propria famiglia, donne e bambini compresi.

In realtà, le condizioni, all’arrivo sono terribili: le fazendas sono spesso in zone selvagge, lontane da paesi e città, si vive in condizioni inumane, preda delle malattie tropicali e con padroni ex schiavisti che trattano i migranti allo stesso modo con cui trattavano gli schiavi di colore. 

Nel 1901, Adolfo Rossi, ex giornalista e Commissario d’Emigrazione, svolge una lunga missione in Brasile e denuncia la condizione degli schiavi bianchi. Di conseguenza, il Governo decise, con il Decreto Prinetti del 1902, la soppressione dell’emigrazione sovvenzionata.

Intanto, il flusso ha ancora cambiato direzione: nei primi anni del XX secolo, s’impone la nuova destinazione, gli Stati Uniti e quella che ne è la porta, New York. A frotte, dalla montagna lucana giungono a Ellis Island - che funziona come controllo del traffico - i migranti della Merica.

Sottoposti a visite mediche minuziose, a lunghi interrogatori e, anche, a sessioni di assessmet psicologico per verificarne le capacità mentali.

Ben diversa, in questo senso, dai centri di Buenos Aires e di San Paolo dove si ci limitava a riportare i dati dei documenti, una veloce visita medica e poi, via, in treno verso i nuovi luoghi di lavoro.

Gli Stati Uniti rimarranno a lungo, la meta preferita dei lucani.Ma è un luogo difficile e duro. L’ostacolo della lingua è fortissimo e, a queste difficoltà, si risponde con la catena migratoria: si va dove è già andato un paesano, si prende il lavoro che lascia, la casa che aveva affittato, si segue il suo mestiere...

Molti emigranti lucani - tranne, ovviamente, quelli delle zone costiere - non avevano mai visto il mare. E, soprattutto i primi, negli ultimi due decenni dell’Ottocento, si trovavano a percorrerlo per una delle rotte più lunghe e più faticose dell’epoca, la tratta che portava dal Mediterraneo al Sudamerica, passando per il Brasile e facendo capolinea a Buenos Aires.

Era una rotta molto lunga, che richiede dai 22 ai 30 e più giorni di navigazione, a seconda del tipo di piroscafo e della sua velocità media.

Le condizioni di tali viaggi furono ben descritte da Edmondo DE Amicis nel suo romanzo “Sull’Oceano” (1889). 

Gli emigranti, o “terza classe”, venivano alloggiati in grandi cameroni, di centinaia di persone e divisi per sesso: le donne e i bambini fino a 7 anni, venivano ospitati a poppa. Gli uomini e i bambini maschi sopra i 7 anni, venivano invece collocati a prora.

Grazie alla Legge n. 23 del 1901, nei cameroni, un emigrante aveva circa un metro cubo di spazio a disposizione. Questo faceva sì che gli emigranti, come albeggiava, con qualunque tempo, corressero sul ponte e solo al tramonto, dopo la cena, fossero spinti dai marinai a tornare nelle loro cuccette. 

Erano condizioni di sovraffollamento e di promiscuità molto critiche. Condizioni ideali per lo sviluppo devastante di malattie endemiche, come il colera o la malaria , di crisi respiratorie, come le polmoniti o la tubercolosi, o della dissenteria, la propagazione di malattie di origine tropicale come il tracoma che portava progressivamente alla cecità. E sono noti i casi di navi tornate indietro con il proprio carico umano decimato dalle malattie e respinte dalle autorità sanitarie dei porti di destinazione.

Ancora più spesso, queste condizioni creavano gelosie, incomprensioni, vere e proprie risse tra quelli che gli americani chiamavano “steering passengers” (passeggeri di stiva), che terminavano in pestaggi, ferimenti e talvolta veri e propri omicidi. 

Le condizioni erano rese più pesanti dalla mancanza di vestiti di ricambio. Gli emigranti vedevano chiudere i loro bagagli nella stiva all’inizio del viaggio - dopo una sommaria disinfestazione per affumicazione - e li riprendevano soltanto all’arrivo.

L’unico aspetto positivo, segnalato da quasi tutti i migranti, era il cibo a bordo. Questo, se non era certo di qualità, era abbondante, come previsto in particolare dal Regolamento sull’Emigrazione che disciplinava il trattamento a bordo. Per molti, nella cui vita era stato difficile mettere insieme il pranzo e la cena, questo era un vero bengodi.

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